Secondo 4000 del, non ancora costituito, gruppo “Camosci d’Abruzzo”.
25-07-03
Pont, ore 12:00. Uno stravagante gruppo di montanari appenninici
s’incammina lungo un evidente sentiero, direzione rifugio “Vittorio
Emanuele II”.
Questa volta siamo in 6: l’insuperabile Antonio, big Vincenzo, Massimo
il ballerino, Ezio lo sballato, Marcello la torre (la torre non è il
cognome) ed io il sottoscritto (Alfredo).
Sotto un sole cocente percorriamo il comodo sentiero che passa prima
sotto bosco poi, si scopre, e per prati e pietre conduce al rifugio.
Gli ultimi metri che ci separano dall’arrivo della prima tappa li
percorriamo con il “Ciarforon” e la “Becca di Monciair” sulla nostra
destra, dall’altro lato della valle, che ci osservano.
Ore 13:50, rifugio “Vittorio Emanuele” (2732m). Sembra più un hangar che un rifugio ma dentro è molto bello ed accogliente.
Dopo la bella camminata ci rinfreschiamo le idee al laghetto di fusione poco più sotto (lago di Moncorvè).
Alle 19:30 una luculliana cena ci attende a braccia aperte, noi invece,
l’attendiamo a bocca aperta. Inutile dire che Antonio s’ingozza sempre
la solita minestra.
Si va a dormire sognando la vetta.
26-07-03
Sveglia, colazione, preparativi, formazione cordate e, alle 04:10, partenza.
La notte è molto stellata, la temperatura è relativamente calda ed il vento sembra assente.
Percorriamo l’evidente sentiero, segnalato da omini di pietra, fino a perderlo (gli omini sono troppi).
Dovevamo passare, prima lungo la morena e poi per il ghiacciaio del
Gran Paradiso. Invece, siamo si passati prima lungo la morena ma dopo,
abbiamo aggirato il ghiacciaio più a nord passando su delle placche con
sopra un simpatico vetrato.
Cordata n°1: Antonio, Marcello ed io.
Cordata n°2: Vincenzo, Ezio e Massimo.
Sbuchiamo sulla “Schiena d’Asino”, le cordate partite insieme a noi dal
rifugio sono molto più in basso (che bello, vuol dire che effettuando
questa variante abbiamo guadagnato terreno!).
Il cielo si oscura, le fameliche nuvole si raggruppano a frotte per coprire quell’ultimo spiraglio di azzurro rimasto.
Adesso la situazione non è più rosea come all’inizio. La temperatura si
abbassa, la visibilità anche, i primi crepacci cominciano a metterci il
bastone fra le ruote, in questo caso si fa un po’ sentire
l’inesperienza del gruppo, tant’è vero che l’andamento rallenta e tutte
le altre cordate ci raggiungono.
Il tempo non sembra migliorare e Antonio, con un eloquente gesto, dice: “Basta, torniamo indietro”,
Io non so che dire, mi sento benissimo e non accuso il minimo fastidio
però, non voglio fare la figura del giovane incosciente che vuole
andare avanti a tutti i costi.
Fortunatamente (per questo lo ringrazio ancora) arriva lui, il grande
Vincenzo, forte e determinato come una roccia (-perché, le rocce sono
determinate? –Non mi scassare, non mi è venuto in mente nient’altro!)
che convince il cocciuto farese a proseguire.
Oltrepassiamo un bel crepaccio potente, percorriamo pochi altri metri
di ghiacciaio ed eccoci sotto le rocce della cresta finale.
Ci togliamo i ferri da sotto i piedi e percorriamo tranquillamente la parte rocciosa fino ad arrivare all’atto finale.
Un breve ma espostissimo passaggio roccioso ci conduce alla madonnina posta sopra la cima.
Alle ore 09:20 raggiungiamo la vetta del “Gran Paradiso” (4061m).
Fortunatamente siamo arrivati prima delle altre cordate altrimenti non
avremmo potuto raggiungere la madonnina per via del traffico.
Anche il tempo sembra essere contento della riuscita dell’ascesa e, per
festeggiare l’evento, ci mostra per un breve periodo l’azzurro cielo
dei 4000.
Baci, abbracci, foto di rito e via verso valle.
Il tempo sembra essersi stancato a mantenere aperte le nuvole, non riesce più a resistere alla loro pressione, alla fine cede.
Torniamo lentamente alla Schiena d’asino dove scattiamo qualche foto.
Ripercorriamo la stessa via dell’andata (cioè quella sbagliata), fa
molto caldo e le tracce scavate nel ghiacciaio sembrano canali di
scarico dell’acqua.
Quaggiù le condizioni metereologiche sembrano essere migliori, man mano che si scende il tempo migliora sempre di più.
Giungiamo alla fine del ghiacciaio, ci sleghiamo, togliamo i ramponi, alcuni mangiano la stozzetta (io sono tra quelli) e…
…seguendo le tracce lungo la morena, alle 13:00, torniamo al rifugio.
Breve pausa e di nuovo a scendere verso il furgone.
Lo so, non dovrei dirlo, ma è più forte di me. Non seguiamo sempre il
monotono sentiero assolato ma, a volte (sempre), tagliamo dritti per
dritti verso valle.
Ore 14:50, Pont.
Raggiungiamo trionfali la vettura che ci ha accompagnati fin qui, ora però ci deve riportare a casa.
Al primo bar si festeggia con la solita bionda, spumeggiante, fresca ed
allegra bevanda (tranne io, la mia bevanda è nera, brutta, gassata,
acida e crepastomaco).
Per essere un gruppo con poca esperienza e con poco tempo per
affiatarsi, abbiamo compiuto una bella impresa, certo, per molti
alpinisti esperti può sembrare una cavolata ma per noi semplici
mortali, camminatori della Majella, è stata una cosa grande.
Grazie ad Antonio per essere stato lo stratega ma soprattutto grazie a
Vincenzo che, con la sua determinazione, ci ha permesso di raggiungere
la vetta. (Grazie Vincè, grazie Vincè, grazie Vincè, grazie Vincè……)
Ciao ciao.