E’una gelida alba di aprile ed un’auto vaga nei dintorni delle pendici del monte Rapina.
La macchina si ferma, si aprono le portiere ed escono quattro piedi
(uno per ogni porta). Successivamente vengono fuori quattro strani
individui: un esemplare di maschio di razza umana dall’espressione un
po’assente (Giustino), un austero signore dal volto cupo ma dal
cuore nobile (Antonio), un rumoroso ragazzo dalla faccia da schiaffi
(Marco) ed un tipo incosciente e poco serio con la testa fra le nuvole
(io(Alfredo)).
Guado S. Antonio ore 06:40. Godendoci una meravigliosa aurora, ci
prepariamo meticolosamente affinché tutto sia perfetto per la “grande
avventura”.
Ore 06:45. Con passo svelto iniziamo a camminare salendo il ripido prato in direzione Monte Rapina.
Il prato è lungo, irto e soprattutto in ombra infatti, non soffriamo proprio il caldo!
Per distrarsi dalla fatica, Giustino ed Antonio, iniziano a dibattere
su un interessante argomento il quale, a mio giudizio, dovrebbe
essere affrontato più spesso anche nelle scuole: le tecniche ed i mezzi
di fresatura della campagna.
Dopo circa un’ora arriviamo sulla Rapina (2027m) ma, per arrivare sul M. Amaro, ci vuole ben altro.
E’ giunto il momento di mettere i ramponi. (dalla foto uno può pensare
che siamo deficienti a mettere i ramponi se c’è l’erba…non giungete a
conclusioni affrettate, lo sappiamo noi!).
Ci attende la ripida salita verso il Monte Pesco Falcone.
Nonostante il sole splendente, la temperatura è fredda ed il vento fa
in modo da crearci una sensazione molto simile a quando non si
riesce a dormire beati, sdraiati su un’amaca, all’ombra di un salice,
su un verde prato, a causa di una rompiscatole di zanzara che si va a
posare sempre sulle orecchie.
In poche parole l’aria fredda ci sta scassando i cestini delle uova.
Con il sole in fronte, contro vento e con molto poca materia grigia
nelle scatole craniche, proseguiamo senza indugio verso il nostro
obiettivo.
Giustino trova anche un’infermeria d’alta quota dove può effettuare una
medicazione lampo sulle vesciche formate a causa delle sue calzature le
quali sono un incrocio fra scarponi invernali da passeggio e scarpe da
tennis. (senza fiato eh?) Ma lui è capace di ben altre cose.
Iniziamo a percorrere l’esposta cresta finale verso il Pesco Falcone.
L’irriverente Marco inizia la sua opera distruttiva, ai danni del
quieto veterano, canzonando odiosamente gli argomenti di dialogo più
cari al nostro vice presidente (farchie, potatura, vino cotto, feste
patronali…etc.).
Il caro fratellino però non sa ancora a cosa va incontro. La vendetta del Di Fulvio sarà tremenda.
Alle 11:15 raggiungiamo la cima del Monte Pesco Falcone (2646m)
Nella foto siamo a qualche metro di distanza dalla vetta vera e propria
in quanto un fastidioso vento ci ha fatto passare la voglia di scattare
fotografie.
Il panorama è stupendo. Si possono osservare; in fondo da sinistra:
Monte Focalone, anticima e un po’di cima di Monte Acquaviva, Cima
Pomilio e Monte S. Angelo; davanti a tutto c’è il Monte Rotondo.
Si riparte e scendiamo verso la sella che coincide con la fine (o
l’inizio) della Rava del Ferro. ( in fondo, al centro si vede anche
cima dell’Altare)
Il bivacco Pelino, dall’alto dei suoi 2790m (-ma la cima non è 2793m?
–si ma il bivacco è un po’ più in basso. –ho capito!), ci prende in
giro come a volerci dire: “Ma dove vi presentate! Ma vi siete visti,
sembrate quattro beduini disidratati! Ah ah ah. Un anziano, uno stolto,
una faccia di cavolo ed un con un cappello che non si può guardare. Ah
ah ah, non mi fate ridere, tornate indietro che è meglio!”
Dopo queste parole, Antonio abbassa la testa e tira come un mulo
dicendo fra se e se: “Anziano a chi? Ma se sei più vecchio di me! Ti
faccio vedere io chi comanda!”.
Iniziamo a camminare come matti, come se dovessimo conquistare il trofeo Mezza Lama.
Lo svitato di Giustino, con le bolle ai piedi, cammina più veloce di tutti; si mette avanti e se ne frega di chi sta dietro.
L’odore della cima è sempre più vicino, le pareti sotto al bivacco iniziano a tremare di paura per il nostro arrivo.
Solo una crisi di fame ferma la nostra inarrestabile corsa al titolo più prestigioso della storia dell’alpinismo.
Il Morrone sembra un giocattolo rispetto a noi ed il Sirente, più
lontano, ci saluta allegramente invitandoci per la prossima uscita.
Ormai manca poco alla cima!
Uno sciatore, non troppo sano di mente (è difficile trovare qualcuno a
posto quassù), si butta a pesce nel canalone detto “Direttissima” ma,
non dal suo attacco vero e proprio ma da un salto molto ma molto ripido.
Durante l’ultimo tratto incontriamo anche due amici (Gianfranco ed Anna) con cui arriviamo in cima assieme.
Ore 12:15 Monte Amaro (2793m).
Entriamo nel bivacco, ancora parzialmente ricoperto di ghiaccio, ci
rifocilliamo, scambiamo due chiacchiere con le altre persone (tranne
con uno uguale a Max Biaggi) ed alle 12:30 prendiamo la via del ritorno.
C’è proprio una bella vista!
Scendiamo di corsa perché vogliamo toglierci dal vento il più veloce possibile.
La neve si sta ammollando, i piedi affondano leggermente ed il passo
rallenta. Arriviamo tranquillamente alla sella sopra lo sbocco della
Rava del Ferro.
Ora si ricomincia a salire; dobbiamo tornare sul Pesco Falcone.
Durante l’ascesa, l’arrogante di Marco becca tante, ma tante palle di
neve lanciate dal tiratore scelto di Fara (per i meno attenti ricordo
che è Fara Filiorum Petri, non Fara San Martino!).
Giusta vendetta per le sue stupide provocazioni!
Improvvisamente, da una fossa scavata nella neve, un mostro di montagna
(simile al mostro del Voltigno, visto in precedenza) inizia a spararci
palle di neve ghiacciate.
Per fortuna c’è lui, il nostro difensore: Antonio di Fulvio.
Il farese scarica una raffica di pallotte ghiacciate in circa dieci secondi disintegrando letteralmente il cattivone.
Sani e salvi torniamo a riprendere il nostro cammino, con il cuore
sereno sappiamo di avere al nostro fianco un paladino che ci difenderà
da qualsiasi sopruso.
dobbiamo ripercorrere in discesa la cresta ricca di pericolose cornici. Speriamo bene!
Giustino parte sparato, ad inseguirlo c’è Marco, poi Antonio e per finire…
…io.
La cresta è molto lunga ma, per fortuna il tempo è buono e la neve è rimasta ghiacciata.
Torniamo al Monte Rapina (non so perché si chiama monte) e togliamo i ramponi.
Ora ci separa dalla macchina solo l’ultima ripida, lunga, noiosa, erbosa, monotona, trincia piedi e altro, discesa.
Dovrebbe essere il tratto più semplice ma, è proprio vero che non ci si
deve mai rilassare! Io seguo i bastoni che segnano la via mentre, gli
altri ripercorrono il percorso di salita.
Non succede nulla di
grave, in quanto tutti conosciamo molto bene il territorio ma, per una
leggerezza, non ci vuole niente a perdersi in montagna.
I miei cari sbullonati amici, iniziano una gara di scivolata con
scarponi su di una lingua di neve dura, rimasta lungo una cresta.
Dopo circa nove ore (pause comprese) di escursione, alle ore 16:00,
torniamo alle macchine con una sete da cammello. Bisogna trovare un
rimedio per questo grave problema.
Non c’è cura migliore!
Bella escursione in ambiente stupendo con una compagnia fantastica.
Ci stiamo avvicinando sempre più in forma alla partenza per la cima del Castore.
Alla prossima.