Anche se questa uscita è un po’ datata, ho dovuto inserirla perché,
quando l’abbiamo effettuata, l’aggiornamento del nostro primo sito
internet era momentaneamente sospeso per problemi tecnici. Farò la
stessa cosa per altre vecchie uscite.
E’ una bellissima giornata di metà luglio: il sole splende nel cielo ed il caldo comincia a stringere le sue chele su di noi.
A partecipare all’impresa sono con me anche il signore di Fara Filior… hem.. Antonio, Giustino e mio fratello Marco.
Iniziamo a camminare dall’albergo di Campo Imperatore.
L’elegantone di Marco si presenta con un vestitino modello pastore macedone senza cane.
Percorriamo il sentiero che conduce alla sella di Monte Aquila.
Arriviamo all’attacco della ferrata Brizio, ci imbrachiamo ed iniziamo a percorrerla con tranquillità.
Cammina cammina e cosa succede?
La neve ci impedisce di proseguire.
Non è un male anzi, in questo modo abbiamo la possibilità di uscire fuori sentiero un’altra volta.
Seguiamo il nostro saggio capo (Antonio) ed iniziamo a salire fra
ghiaioni, rocce e balze erbose fino a raggiungere il Passo del Cannone.
Finalmente, dopo “secoli” di cammino, arriviamo alla sella dei due
corni (menomale che siamo partiti da Campo Imperatore, Prati di Tivo
era troppo lungo da raggiungere con la macchina!).
Sotto le fiamme di pietra, Il signore devoto a S. Antonio Abate e mio
fratello, indicano i punti critici della ferrata Brizio mentre Giustino
fa segno che dobbiamo salire.
Rimettiamo gli elmetti ed iniziamo ad arrampicare lungo il primo
camino, che si incontra a scendere verso il vallone dei ginepri, senza
badare molto alla direzione da prendere (molto male!).
Andando avanti, le difficoltà aumentano ed i glutei si stringono.
Usciamo fuori dal ripido camino e, sotto un vento fastidioso, ci
troviamo davanti ad una parete, di circa 6m, con una difficoltà che, a
orecchio, si aggira intorno al 4°/5° (quarto o Quinto?). Diciamo 4 e ½.
Scorgiamo un povero, isolato, emarginato ed afflitto spit a circa 2m sopra di noi.
Il passaggio è abbastanza difficile ma fattibile: si tratta di prendere
un po’ di coraggio per salire il primo tratto esposto e successivamente
procedere in dulfer.
Io e N’donio ci consultiamo; la tentazione è forte, il vento anche e la paura di più.
Dopo qualche minuto di interminabili ed intensi sguardi, come se si
dovessero decidere le sorti delle vite umane in transito per le strade
delle città degli stati dei continenti del nostro pianeta, facciamo il
pieno di coraggio ed incoscienza e senza indugio torniamo indietro
lungo il camino.
Leggiamo con più attenzione la descrizione della via sulla nostra
“Bibbia” (libro delle vie del G. Sasso) e ci accorgiamo di essere dei
provetti cetrioli in quanto, a metà canale, si doveva uscire sulla
sinistra e traversare.
Con estrema disinvoltura, da veri Camosci d’Abruzzo (incavolati neri),
troviamo il punto esatto ed iniziamo ad effettuare il traverso.
Il passaggio è leggermente esposto (solo 200m di strapiombo),bisogna affrontare una dulfer orizzontale.
Passa prima il farese, poi Marco, poi Giustino che, non fidandosi
dell’aderenza delle scarpe, mette i piedi al posto delle mani ed infine
è il mio turno.
Entriamo in un altro ripido camino con passaggi non molto facili ma superabili.
Usciamo allo scoperto e tagliamo la parete lungo una cengia erbosa.
Arrampichiamo su per una semplice paretina e ci portiamo sul filo di cresta.
Il filo di cresta.
Procediamo senza seguire un percorso preciso infatti, dobbiamo
consultare più volte la relazione e talvolta tornare indietro e
ricominciare il passaggio.
Giungiamo al momento topico della via: un oscuro pozzo di 3° profondo circa 5m.
Il saggio buon signore, venuto dal lontano paese il cui nome è simile
al più famoso luogo dei pastifici, mostra tutta la sua tecnica nel
superare questo ostico ma soprattutto buio passaggio.
Il lato commovente della scena è che, il veterano, consiglia ai suoi
compagni come scendere correttamente eseguendo i suoi stessi identici
movimenti (se Giustino e Marco non fanno come dice lui, li prende a
pietrate).
Io sono l’ultimo, non mi va che l’uomo della Fara si affatichi tanto anche per me e per evitare questo scendo in corda doppia.
Eccoci tutti in fondo al pozzo.
Se prima ho detto che eravamo giunti al momento topico della via,
adesso siamo arrivati al momento che serve come cura per la stitichezza.
Bisogna sormontare uno sperone di roccia e traversare la liscia ed esposta parete.
Questo è l’ultimo passaggio impegnativo della via.
Superiamo il terrificante tratto e ci raccordiamo con la via ferrata
Danesi da dove stanno scendendo altri allegri escursionisti.
Adesso il percorso è molto più tranquillo anche se un pezzettino di cresta è abbastanza esposto.
Si vede la croce! La vetta è vicina!
Solo pochi passi ed il Corno Piccolo è conquistato!
Alle ore 12:20 del 17-07-05 i Camosci d’Abruzzo: Antonio, Giustino, Marco ed Alfredo giungono in cima al Corno Piccolo.
Possiamo goderci qualche minuto di distrazione dopo lo stress della salita.
Marco riesce a distrarsi proprio bene!
Antonio invece, guarda con curiosità un oggetto da lui sconosciuto (un
moschettone) e si diverte come un bambino ad aprirlo e chiuderlo nel
tentativo di cercare di capire la sua utilità.
Basta con la sosta, è ora di scendere. Non dobbiamo superare il limite
di 20 minuti. Bisogna sapere che il regolamento fittizio dei “Camosci
d’Abruzzo”, vieta assolutamente la sosta in vetta per più di 1/3 d’ora.
Scendiamo lungo la via normale tranquilli e rilassati all’oscuro di quello che ci attenderà.
Arriviamo al termine del sentiero quando sorge un dilemma: “quale via
vogliamo fare per tornare a Campo Imperatore? Risaliamo alla Sella dei
due Corni e tornare indietro per lo stesso sentiero dell’andata o
scendere nella Val Maone per il Vallone dei Ginepri e risalire a Sella
di M. Aquila? (percorso lunghissimo ed
infinitamentissimissimmissimamente pallosissimissimissimo)”.
Considerando le poche ore di sonno, la stanchezza dovuta alla salita,
il caldo bestiale e la differenza di lunghezza delle due vie, non
abbiamo indugiato a percorrere il Vallone dei Ginepri.
Iniziamo la discesa estremamente entusiasti dato che non avevamo mai effettuato questo giro.
L’entusiasmo si disintegra quando la nostra guida spirituale, il nostro
maestro di vita nonché abitante di Fara Filiorum Petri (CH) (CH sta per
Chieti, non Svizzera), Antonio di Fulvio, decide di non scendere
direttamente in Val Maone ma, vuole arrivarci scendendo obliquamente a
mezza costa per percorrere meno strada.
Per intenderci meglio: prendiamo in esame un triangolo rettangolo; noi
avremmo dovuto percorrere i cateti invece, il caro “amico” ci ordina di
seguire l’ipotenusa (se non avete capito studiatevi il teorema di
Pitagora).
Il condottiero farese, orgoglioso della sua decisione, si pone al
comando dell’armata e si fa fotografare trionfale vicino agli omini, da
lui costruiti, come se fossero trofei di guerra.
La lunga discesa, sempre nello stesso verso, ci deforma a 45° le piante
dei piedi a tal punto da non reggerci più in piedi nei tratti
pianeggianti.
Con un colpo di stato, Giustino esce dal gruppo e scende in modo perpendicolare nella Val Maone.
Noi, imperterriti, continuiamo a seguire il nostro Guru fino in fondo.
Finalmente arriviamo sul fondo dove troviamo il folle di S. Salvatore (Giustino) che ci sta aspettando da molto tempo.
Iniziamo ora l’interminabile salita verso Campo Pericoli.
Il sole picchia duro ma, in vista dell’imminente salita al Bernina si sopporta anche questo.
Dopo ore di cammino, una visione celestiale si staglia davanti a noi:
il rifugio Garibaldi che ci aspetta a braccia aperte come un’oasi nel
deserto che accoglie un disidratato esploratore.
Ci sediamo stremati all’ombra delle mura (ma quale ombra?!) e andiamo in stand by.
Il regolamento però non si può violare neanche in situazioni estreme,
infatti suona la sveglia che avverte il momento della ripartenza.
Riprendiamo la salita con il nostro lento ed affaticato passo come
reduci sudisti di una battaglia combattuta sulla frontiera durante la
sanguinosa guerra di secessione.
Come per incanto, davanti ai nostri occhi, compaiono le vette del Corno
Grande. Ci siamo notevolmente avvicinati al sentiero che ci condurrà a
Campo Imperatore.
Arriviamo in men che non si dica alla Sella di Monte Aquila ed iniziamo l’ultima straziante discesa verso la macchina.
Ormai abbiamo l’albergo ad un tiro di sputo! Però non possiamo ancora
cantar vittoria. Uno di noi potrebbe inciampare, cadere, battere la
testa, procurarsi una frattura del cranio, avere la fuoriuscita
dell’encefalo e morire!
Con le mani in tasca proseguiamo in silenzio la discesa verso la “libertà”.
Alle ore 17:00 l’impresa è compiuta, giungiamo infatti tutti
interi alla scintillante macchina del nostro grande amico, un po’
svitato, Giustino.
Il sole ha picchiato per tutta la giornata tanto da far credere al
canuto signore venuto da lontano di essere tornato adolescente. Bhà, le
stranezze del cosmo!
Ad Antonio siamo ancora “grati” per aver insistito a farci percorrere
il giro meno breve, altrimenti saremmo tornati troppo presto nelle
nostre abitazioni, dai nostri familiari a rifocillarci ed a riposare
dopo la levataccia di questa giornata.
Comunque tutto è bene quel che finisce bene, soprattutto con dei cacali
di birra fresca (manca la foto in quanto le batterie non hanno svolto
fino in fondo la loro funzione; comunque credetemi, a Castel del Monte
si beve!)
Ciao ciao.