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26-02-2006 rifugio Martellese
Le previsioni del tempo non promettevano niente di buono infatti, ci siamo svegliati la mattina alle 05:00 con l’idea di prenderci l’ennesimo cappuccino al bar di Guardiagrele. (ogni volta che piove o che il tempo non consente di svolgere un’escursione, ci rechiamo al bar della piazza di Guardiagrele e ci consoliamo con un cappuccino.)
Arriviamo alle 05:55 a casa di Antonio (abita ai colli di Fara Filiorum Petri) e partiamo verso l’ignoto visto che il tempo non era poi così male.
Dopo un lunghissimo girovagare col furgone per pensare dove andare, ci dirigiamo verso Palombaro e parcheggiamo sotto l’imbocco di Fosso La Valle.


Ci prepariamo e iniziamo a camminare lungo l’infinita  e noiosissima mulattiera.
Dopo circa “200 Km” di latte alle ginocchia prendiamo finalmente il sentiero che sale ripidamente nel bosco.


Fanno la comparsa le prime tracce di neve.


Quando la neve diventa più alta entrano in azione le racchette.


Camminare nel bosco è bello però quando ci stai da due ore ti cala la palpebra.


Usciamo fuori dalla selva e cosa troviamo? La nebbia.
Fortunatamente attraverso di essa riescono a filtrare i raggi del nostro amico sole che ci fanno sperare che lassù ci attende il paradiso.


La salita è ripida e la neve è morbida ma il fantastico ambiente riesce a non farci pensare alla fatica.


La nebbia l’abbiamo ormai lasciata alle spalle e davanti a noi abbiamo solo la luce eterna.


Ormai il sole ha preso totalmente il sopravvento, anche troppo, infatti si sprofonda.


Sul versante opposto della valle notiamo delle flebili scariche che potrebbero diventare più consistenti con l’aumentare della temperatura. Noi siamo al sicuro in quanto saliamo lungo un crinale.


Dopo ore ed ore di estenuante cammino, sotto un sole infernale in mezzo a neve fresca (sto esagerando), raggiungiamo finalmente la cresta di Colle Strozzi.


Se una persona non conosce il luogo direbbe tranquillamente di essere su un 4000.


Sul 4000 non ci siamo più in quanto fanno la loro comparsa i pini mughi.
Speriamo di non caderci dentro!


Però, basta concentrarsi un po’ ed eccoci di nuovo sulle alpi.


Raggiungiamo, sotto un vento gelido, il primo rifugio del Corpo Forestale dello Stato: “Rifugio Montagna d’Ugni” (1863 m).
Solo il tempo di immortalare lo splendido paesaggio e ripartiamo a razzo alla volta del secondo rifugio della forestale.
La mulattiera che passa di li è completamente ricoperta di neve ed a fatica si intuisce la sua posizione.


Continuiamo così a percorrere la via di cresta sperando sempre di non cadere nella trappola tesa da qualche “famelico” pino mugo.


Dopo circa quaranta minuti di marcia dal primo rifugio, arriviamo in cima ad un dosso dove le moli imponenti di Monte Acquaviva e Cima Murelle  sovrastano tutto ciò che ci circonda.


Percorriamo in discesa pochi metri di dislivello ed ecco il rifugio “Martellese” (2035 m) che ci aspetta sotto uno strato di neve.
“Che fortuna! Il vento soffia dal lato opposto di dove è situata la porta. Potremo entrare tranquillamente di riscaldarci al riparo da freddo vento del nord!”
Percorriamo, con estrema euforia, gli ultimi metri che cu separano dalla meta.
Gli angoli delle nostre bocche sfiorano i lobi delle orecchie tanta è la voglia di un po’ di tepore.
Sono le 12:25 e vediamo che l’UNICO posto dove la neve si è accumulata è proprio davanti alla porta.


 Le nostre facce subiscono una metamorfosi tipo statua di cera ad un atemperatura 80°C.


Ci sediamo sconsolati, come dei poveri elemosinanti davanti alle porte di una cattedrale, e consumiamo il nostro umile pasto.


Ore 12:45. E’ ora di tornare a valle.
Decidiamo di percorrere la non evidente mulattiera in maniera tale da poter osservare il paesaggio sull’impressionante Valle di Selvaromana
(in realtà non volevamo fare la salita per tornare sul dosso da dove provenivamo).
Durante la discesa verso il primo rifugio, i nostri cuori hanno un sussulto.
Ci fermiamo in rispettoso silenzio come quando ci si trova davanti alla statua del Cristo alla processione del Venerdì Santo.


Un’aquila maestosa (non è un piccione, è proprio un'aquila) fende le nuvole con portamento regale come a dominare l’inconcepibile inconsapevolezza dell’esistenza della vita su un pianeta stravolto da elementi intriseci con l’immoralità.
Che cavolo sto a dire! Andiamo avanti con la storia.
Oltrepassiamo il rifugio e ci buttiamo a capofitto verso Colle Strozzi sulle nostre tracce della salita.


Lungo il cammino uno strano personaggio ci saluta con un bel sorriso pieno di denti e va via.


Torniamo nella valle della nebbia e rientriamo nel bosco, poi ci riprendiamo la mulattiera che in salita ce la siamo mangiata ma, solo in discesa ci accorgiamo del suo reale effetto soporifero.


 Non sto dicendo una corbelleria, è da provare; tutti coloro che soffrono d’insonnia devono percorrere la strada sterrata della Montagna d’Ugni, dopo mi riferiranno.


Alle ore 16:00 circa raggiungiamo il furgone e commentiamo con poesia i momenti trascorsi fra le candide vette della Majella che, come una madre, abbraccia i suoi figli alla ricerca di un po’ d’affetto, ormai in via di estinzione fra i popoli dominanti de nostro pianeta (il reale argomento del discorso è: “A quale cantina ci fermiamo a farci una tazza di vino?”).
A parte gli scherzi, ripensando alla giornata passata fra la nebbia, il vento, il sole ed il ghiaccio, abbiamo provato una sensazione di libertà un po’ come quell’aquila in volo fra le nuvole (che poeta!).

   


 
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Articolo del 28 Feb 2006 by Alfredo
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