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14-05-2006 Nevaio del Gravone
La notte tenebrosa ancora si decide ad andare via, la splendente luna piena, che illumina la “favolosa” cittadina di Chieti Scalo (fa schifo), non illumina niente perché è coperta dalle nuvole.
Ore 04:56, lo squallido portone di un fatiscente palazzo, sito lungo la statale Tiburtina, si apre emettendo dei sinistri scricchiolii.
Nella penombra (più ombra che penombra) vengono fuori due tipi poco affidabili.
Io e mio fratello usciamo scoppiettanti come non mai dalla baracca in cui abitiamo e, per poco, non facciamo un frontale con l’auto di Giustino parcheggiata li davanti.
Giustino non c’è ma, dall’altro lato della strada ci stanno aspettando il grande Antonio (nel senso di età) ed il grande Fausto (nel senso che è alto 190cm).
Dove diavolo si sarà mai cacciato quello schizofrenico?!
Ci avviciniamo furtivamente alla sua macchina e lo vediamo sdraiato tra i sedili a ronfare come un orso in letargo che sogna ghiri sonnambuli  fra calde foglie di faggio.
Facciamo oscillare la macchina fino a svegliare il povero signore assopito.
Scende a rallentatore dalla macchina e, in modo serio e placido, ci informa che, per farsi un mezz’ora di sonno in più, ha passato la notte a dormire, vestito da montagna, in automobile.
Con le facce incredule e  con fare indifferente torniamo dall’altro lato della strada ad attendere un altro grande “genio”: Massimo Sammartino.
Il giovane fuori di testa (anche se non lo da a vedere) ci annuncia che DEVE stare a casa al massimo per le 16:30 in quanto ha un impegno di fondamentale importanza per la sua vita e quindi improrogabile.
La via che abbiamo intenzione di effettuare (finalmente si parla di montagna) è il nevaio del Gravone, un percorso molto lungo e faticoso sul versante nord-est del M. Camicia.
L’unica soluzione che abbiamo trovato per sperare di sognare di avere un barlume di speranza per arrivare a destinazione nei tempi stabiliti è quella di lasciare la sua auto a Fonte Vetica nell’altopiano di Campo Imperatore (versante sud).
Alle 05:05 si parte (menomale!). A cavallo di tre macchine (quelle di: Fausto, Massimo e Ndonio) raggiungiamo la località di Rigopiano, scendiamo dalle vetture e ci disponiamo nel seguente ordine: io, dall’auto di Ndonio, passo in quella di Fausto; Giustino, dalla macchina di Massimo, passa anche lui dentro quella di Fausto. L’unico scostumato che non si degna nemmeno di muovere un dito è Marco in quanto, è già nella macchina di Fausto.
Il capo- farchia e Massimo, con le loro auto, si dirigono verso Campo Imperatore per lasciare il trabiccolo del giovane scapestrato a Fonte Vetica con la speranza di effettuare una traversata.
Noi altri invece, percorriamo la strada per Castelli per circa 6 Km dove, ad uno spiazzo sulla sinistra…


…si parcheggia.
Dietro la macchina c’è il cartello che indica l’inizio del sentiero.


Ora bisogna solo attendere il ritorno dei due stravaganti personaggi.
Dopo circa 37 minuti eccoli che arrivano.


Alle 07:10, dopo tante chiacchiere inutili e noiose, iniziamo la nostra avventura (era ora!).
Un ripido bosco spalanca le sue tetre fauci e ci deglutisce…


…ci espelle, dopo mezz’ora, dal suo posteriore e ci catapulta direttamente sul nevaio del Gravone.
Dei rumori sospetti ci inquietano gli animi. Da dove provengono? Cosa potranno mai essere?
Puntiamo gli occhi sulle creste rocciose che ci circondano e…


…avvistiamo un maestoso camoscio che ci scruta incuriosito, come a volerci dire: “Addò jat!” ( ma dove andate!)
Ma se ci troviamo in provincia di Teramo, perché stà bestia parla guardiese?


Con questo catastrofico dilemma che ci affligge le cervella, proseguiamo il nostro cammino.
Con i ramponi ai piedi camminiamo sulla non ottima neve che copre il biforcuto canale.
Perché biforcuto? Perché si biforca. Bisogna seguire la diramazione di destra in quanto quella di sinistra presenta troppi salti insormontabili.


Il capo-cordata-farchia vuole farsi fotografare in testa al gruppo per mostrare la sua superiorità nei confronti degli altri poveri pivelli.
La via s’impenna e assieme a lei anche Antonio. Quel delinquente di Fara Filiorum Petri si mette praticamente a correre. “Addò vì”.
Noi dobbiamo sottostare alle angherie di quello che, allo stato attuale, ha la carica più alta nel direttivo dei Camosci d’Abruzzo. (Vincè ritorna, solo tu hai il potere di far abbassare la cresta a quel tipaccio!)
Ci adeguiamo al passo e, facendo finta di allenarci, in vista della maratona che gira intorno al Monte Bianco, come Mario, proseguiamo il nostro “facile” percorso.


Ci troviamo ad affrontare l’ultimo tratto della prima parte del nevaio…


…il quale si conclude con un bel saltino.
Gli altri anni lo abbiamo aggirato sulla sinistra passando per le ripidissime balze erbose (vedi foto della prima relazione).
Ma adesso invece, il salto è asciutto e ben appigliato, sembra che ci sia qualche possibilità di poterlo risalire in arrampicata.
Il decano ci guarda, noi guardiamo lui, lui viene guardato da noi, noi veniamo guardati da lui, gli sguardi si incontrano e si scontrano, un silenzio tombale, interrotto saltuariamente da strani crepitii, si insedia nella valle…bisogna decidere cosa fare.
Colui che custodisce nei secoli dei secoli l’enigmatico mistero della Farchia divina, si volta verso la parete e…


…inizia ad arrampicare senza togliersi i ramponi in quanto, oltre il salto, potrebbe esserci ancora neve.
Raggiunge il termine della paretina e, con un segno effettuato in maniera solenne, indica al prossimo di salire.
E’ il turno di Massimo che vuole emulare la gesta del suo predecessore ma, alcune difficoltà sorgono in questo istante: la roccia è stata bagnata, quindi resa scivolosa, dalle fatiscenti scarpe innevate di Mr. Fara (le ha comprate nel 1976) inoltre, il passaggio, sempre del Di Fulvio, sulla via ha smosso alcune rocce tenute insieme da un’empirica forza di coesione la quale è venuta a mancare creando così un irreversibile sgretolamento calcareo pericoloso per le impotenti  risorse umane che, come canne al vento, si trovano in balia del succedersi degli eventi.
In poche parole: Ndonie ha fatt nu casin!
Tocca a Giustino che continua il lavoro di “pulizia parete” iniziato Dal saggio.


Fausto non compie il suo dovere in maniera egregia, fa cascare solo pochi sassolini.


Il vero artista è lui: Marco Zuccarini; fa cascare una scarica di mattoncini saltellanti come fuochi d’artificio, seguiti dal botto finale, un pezzamone di “60 tonnellate” che si pianta proprio dove, qualche minuto prima, c’ero io.
Infine salgo io un po’ deluso per via del fatto che non c’è più niente da far cadere.


Antonio mostra fiero la corda con la quale ha assicurato tutti noi.


Si prosegue lungo un corto ma ripido tratto di erba fino ad arrivare ad un vasto anfiteatro dove si possono osservare in tutto il loro splendore…


…la Forchetta di Penne ed il Dente del Lupo.
Rimettiamo i ramponi e di nuovo in marcia.
Bisogna attraversare un vasto nevaio che porta alla ripida e massacrante salita verso la famosa sella.


Se si guarda all’indietro, possiamo osservare con fiera stanchezza l’imbuto da dove siamo sbucati.


Non seguo lo stesso percorso dei miei compagni ma, per motivi fotografici, sono costretto a passare più in alto, a pochi metri dalle fragili guglie che sovrastano l’incantevole ambiente.


Inizia la ripida e massacrante salita su neve molle verso la sella.


Molto ripida.


Troppo ripida.
Il sole picchia, la salita anche ma le gambe pompano, pompano proprio bene!
Alzo lo sguardo, vedo la fine. Dai, ancora pochi metri e siamo arrivati a ¾ del percorso.


Ore 10:40, Forchetta di Penne e Dente del Gigante…Dente del Lupo (scusate, ho sbagliato di circa 2000 m.)
Tutt’ad un tratto Massimo cambia colore. Cosa sarà successo, si sente male?
Con tono amaramente ironico, guarda il capo-farchia e dice: “Antò, se ti dico quello che mi è successo ti metti a ridere!” Cosa sarà mai successo?
“Mi sono dimenticato le chiavi della mia macchina nella tua”.
Un boato di risate si solleva nella sottile aria d’alta quota.
Le burla nei suoi confronti si ripercuotono per tutto il resto della via.
Il povero Massimino è un po’ demoralizzato visto che, per “merito” suo, abbiamo dovuto fare un macello con le macchine inoltre, va svanendo l’ipotesi di tornare a casa in orario.
Per cercare di consolarlo gli dico: “Dai su, te la senti a Castel del Monte la messa” (sapendo che lui è un tipo molto cattolico e rispettoso dei valori)
Lui mi risponde che non è per la messa che deve tornare prima.
Quale sarà mai questo misterioso motivo?
Dopo molte insistenze da parte di tutto il gruppo, riusciamo a far uscire Massimo dall’omertà.
Deve andare assolutamente a scuola di ballo.
Ah,ah,ah,ah,ah,ah,ah,ah,ah,ah…
Si staccano valanghe, crollano muri di roccia e volano via tutti gli uccelli dalle risate.
Ormai il gracile smemorato è diventato lo zimbello dei Camosci.
(Massimo non me ne volere se scrivo tutto questo ma è più forte di me, non potevo tacere)


Seguiamo una cresta rocciosa che ci dovrà condurre ad una sella fra il M. Tremoggia e le balconate.


La neve è presente sempre nei passaggi più difficili.


Molto interessati al corso di ballo tenuto da Massimo, proseguiamo l’ascesa fra neve, creste e passaggi rocciosi.


Ci affacciamo sulle vertiginose pareti del versante nord del M. Camicia.


Se guardiamo sotto invece, possiamo osservare i paesini piccini piccini con le stradine strettine strettine.


Manca solo l’attraversamento di una corta ma sottile crestina innevata prima raggiungere la cresta che divide il teramano da l’aquilano.
Bisogna sbrigarsi in quanto le nuvole stanno salendo assetate di vite umane.
Passa Ndonio (lo sbruffone deve essere sempre il primo), poi il ragazzo dal cervello ristretto, dopo lo spilungone, seguo io e…


…ormai immersi dai nembi, i rumorosi Giustino e Marco che hanno fatto baldoria per tutto il percorso.


Ore 11:50. Finalmente la cresta.
Cosa bisogna fare con le macchine?
Dopo lunghe riflessioni e calcoli logaritmici sulle possibilità di recuperare le auto in base alla possibilità di rispettare alcuni orari se si dovesse raggiungere la vetta o se si dovesse scendere dal vallone di Vradda considerando lo scioglimento della neve ad una temperatura media di 15°C al sole ma, con passaggi di nuvole che farebbero precipitare le temperature a 10°C con il vento che soffia ad una velocità di 20 Km/h, si è deciso che lo smarritore della memoria non sale in vetta, scende a Fonte Vetica ed elemosina un insperato autostop fino a Rigopiano, il longilineo Fausto invece, sale in vetta, scende a Fonte Vetica, raggiunge Massimo, gli riporta il poco di cervello che ha perso lungo la discesa, raggiungono in autostop le macchine parcheggiate sotto l’attacco del nevaio e tornano a Chieti con la rossa fiammante (non è una Ferrari) del giovane slanciato.
I restanti quattro tornano alle macchine per un sentiero e, con la scatoletta di Antonio, vanno a recuperare la quattroruote di Massimo.
Il piano non fa una piega ma, che palle!


Salutiamo il ragazzo che non conosce il significato della parola memoria e…


…ci dirigiamo verso la vetta.


Lasciamo alle spalle le spettacolari balconate che si affacciano sulla parete nord.


La neve molle fa in modo da rallentare la progressione.
Quest’ultimo tratto lo affrontiamo con passo Himalaiano, lento e pesante.


Alle 12:20 conquistiamo la cima del Monte Camicia (2564 m)
Vetta a noi tanto cara ove nel lontanissimo 12 maggio 2002, in seguito all’udire di animaleschi versi di ignota provenienza, nacque l’idea del nome camosci. (dopo fu perfezionato in Camosci d’Abruzzo)
Che aere, che poesia, che profumo di…di…ma che schifo! Che cavolo, contenetevi, sto narrando la nostra uscita!


Strano, non sapevo che i cow boy andassero in montagna!
Dopo una fatica simile è di rito divorare la stozza. Pane e ventresca! Mmmm che buono! Ma…ma…cos’è quello? Il pazzo di Giustino estrae dal suo zaino un barattolo di carciofi sott’olio. No, non credo ai miei occhi! E cosa c’è in quella busta? No, non è possibile. Un sacco dell’immondizia colmo di carciofi impanati e fritti e, per i palati più raffinati, anche un paio di chele di granchio.
“Giustì fì schif!”


E’ ora di tornare a valle. Anche perché abbiamo sforato di 5 minuti il termine massimo di permanenza in vetta infatti, sono le 12:45.
Fausto invece, per non violare il regolamento, è andato via prima con la speranza di raggiungere il ragazzo dalla materia grigia volatile.


Saluto la vetta che più di tutte ho nel cuore, con una artistica foto da calendario, ponendomi dinnanzi al M. Prena.
(Ma se hai nel cuore il Camicia, perché hai come sfondo il Prena?)
Senza rispondere a questa domanda di …, proseguiamo la nostra “tranquilla” discesa.


Ripercorriamo i luoghi ove 4 lunghi anni or sono trovammo due nostri cari amici avvolti dalle nebbie con i loro quattro piedini in uno striminzito zaino nel tentativo di fronteggiare il gelido vento che da ore li affliggeva.
(ottima soluzione)


Ci dirigiamo verso il M. Tremoggia oltre il quale, giunti all’omonima sella, dovremo voltare a sinistra e scendere verso l’ignoto.


La discesa verso l’ignoto.
Non percorriamo esattamente il sentiero ma, in seguito a lunghe consultazioni (ha deciso tutto Antonio), optiamo per tuffarci in un oscuro canale che, ad occhio e croce dovrebbe  seguire la direzione esatta.
La direzione è esatta ma il canale no. Questi termina con un bel saltino di circa 40m su cui scorre una fiabesca cascata contornata da fate e ninfe.
Viva le farchie! Adesso che facciamo? Semplice, ci spostiamo nel canale parallelo e preghiamo il patrono della Fara.


Il signore dalla testa grigia, con un gesto temerarrio (temerario si scrive con una sola erre), si tuffa nell’orrido alla ricerca di un passaggio.


Noi rimaniamo sopra a guardare con stupore e con ansia la prova di coraggio che il nostro eroe sta portando a termine. (E’ proprio Ndonio!)
Antonio sparisce nel profondo del roccioso canale, attimi di silenzio terrorizzano le nostre membra, gli uccelli si fermano (se si fermano in volo cascano), la nebbia si infittisce, i camosci tacciono.
Poi una voce, è il nostro caro amico che ci esorta a scendere.
Che bello, si può fare. Antò sei grande!


Inizialmente bisogna scendere un tratto innevato-ghiacciato con molta prudenza poi…


…dei saltini rocciosi esposti.


Infine ci ritroviamo in un anfiteatro naturale grandioso proprio sotto le pareti del M. Coppe.
Incrociamo perfino il non evidente sentiero che parte da fonte Torricella (quello che avremmo dovuto percorrere se non avessimo preso il canale).
Nell’aria si respira odore di pioggia.


Anche sulle nostre teste!
Il sentiero prosegue traversando verso ovest il pendio erboso reso scivolosissimo dall’acqua piovana.
Il sentiero non è per niente tracciato ed i segnali sono posizionati molto lontani tra di loro però, se si guarda attentamente, si vedono l’uno dall’altro. Devo dire che è segnato in maniera visibile solo per persone acute infatti, la persona più acuta del gruppo, ha deciso che vuole tornarci con un barattolo di vernice e ripassare i segnali sbiaditi.
Ndò pensane un’altra. Sarà il settecentosessantatreesimo sentiero che vuoi risegnalare.


Dopo esserci bagnati come pulcini entriamo nel bosco stregato.
Percorriamo il non esaltante sentiero (perché non esaltante? –Dopo sette ore di mazzo niente è esaltante!) fin quando non possiamo più.
Ci spariamo in un canale boschivo alla velocità della luce.
Ma perché corriamo? Perché il grande capo si è ricordato che deve rientrare urgentemente a Fara per una questione di vita o di morte (mica dovrà andare a ballare anche lui? No, non credo, sicuramente dovrà recarsi, come al solito, in qualche ristorante!).
Ad ogni passo la velocità aumenta, io riesco a stare dietro al boss ma, non so per quanto.
Fortunatamente egli si ferma, ci raggiungono anche Giustino e Marco che ci chiedono se ci stiamo allenando per la maratona di Roma.
Purtroppo talvolta al grigio signore delle canne infuocate vengono questi schizzi e noi non ci possiamo fare niente.
Raggiungiamo l’asfalto e dopo qualche centinaio di metri, alle 15:35, anche la macchina. C’è solo la lattina su quattro ruote di Antonio quindi, Fausto e Massimo ce l’ hanno fatta.


Ci dirigiamo verso Fonte Vetica stretti come sardine.
Recuperiamo la macchina di Massimo e ci rechiamo a Castel del Monte dove si beve. (manca la foto perché non ho voglia di prendere la macchinetta nello zaino pressato nel bandone di macchina del farese).
Bella uscita con alcuni imprevisti e se gli imprevisti non ci sono stati ce li  siamo cercati.
Un saluto al segretario (Stefano) che ci vuole tanto bene ed un saluto al presidente (Vincenzo) che ci vuole bene anche lui.
Speriamo che massimo ce l’abbia fatta ad essere presente in orario alla scuola di ballo!



3 Commenti
Articolo del 17 May 2006 by Alfredo
by Admin @ 19 May 2006 09:49 am
una volta è successo anche a me di dimenticare le chiavi, la traversata su neve ovviamente fallì... per causa mia! sad
Massimo ha tutto il mio appoggio. smile

Ho un ricordo indelebile... e un po' spettrale del Gravone, condiviso con l'amico Ronin.

Complimenti a tutti per la difficile prova! smile
by giustino @ 19 May 2006 11:50 pm
smile laughing laughing laughing laughing crying laughingschiatto sempre dalle risate leggendo le tue relazioni. Ma come fai a ricordare tutrti i particolari, senza trascurare nemmeno una battuta. Sei un disgraziato. Ora la riservatezza di Massimo se n'è andata a pu..... Comunque la foto è straordinaria. Justin
by fausto @ 03 Jun 2006 02:29 pm
... chiaramente il nostro autostop (mio e di massimo) è stato un vero fallimento... solo dopo una decina di tentativi si è fermato qualcuno!!!
Esperienza da non ripetere!!
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