Il giorno dopo la pioggia, ecco la luce, un raggio di sole divino
illumina i nostri animi e ci spinge verso un luogo lontano lontano alla
ricerca di una nuova avventura.
Sono circa due anni che un tormento tormenta la mia già tormentata
anima da non tormentare, è come un incubo che si presenta ogni notte di
plenilunio fra le 02:17 e le 02:33, non riesco proprio a liberarmene.
E’ l’insistente e melensa voce del tritacarne di mio fratello Marco
(avrei potuto anche non specificare il nome, ho solo un fratello!) che
mi ripete sistematicamente di voler salire sul Monte Pizzalto.
Non so cosa mi sia accaduto ma, forse perché mi picerebbe dormire la
notte o forse per semplice curiosità, ho deciso di voler accontentare
l’ingegner motopicco (martello pneumatico).
Dopo una serata passata a mangiare arrosticini a casa di Giustino, abbiamo coinvolto anche lui.
Non conosco alcun sentiero, se esiste, che porta in cima a questa vetta
perciò, parcheggio la macchina proprio all’inizio della cresta.
Ore 08:30. Iniziamo a camminare lungo una strada sterrata seguendo la
freccia su un cartello di legno che indica un’azienda agricola (non
voglio andare a zappare!).
Dopo circa cento metri di marcia, non si vede l’ombra di una traccia di
sentiero, proseguiamo per altri cento e comincia il divertimento.
Iniziamo a salire in perfetto stile caproni (non camosci) lungo la
friabile costa, alla velocità della luce, nel tentativo di raggiungere
la cresta. (che cavolo vi correte!)
Non posso fermarmi nemmeno 30 secondi per fare una foto che quei due mi
danno centinaia di metri di distacco. (Eh, la vita è dura!)
Le nuvole lentamente iniziano a cedere il posto all’azzurro del cielo.
Raggiungo i miei due compagni corridori (se solo ci fosse Mario (grande
maratoneta amico nostro che saluto. Ciao Mario) vi insegnerebbe
l’educazione!) e dopo pochi metri sono io ad allontanarmi.
Mi sposto sul versante che si affaccia verso il M. Porrara per cercare
di scattare qualche foto da inserire sul nostro sito (che è questo)
però, fanno tutte schifo. (io non sono a fotografare bravo come Antonio)
Gli infamoni dei miei compagni di viaggio non mi pensano neanche e
continuano la loro corsa alla conquista del “quindicesimo ottomila”.
La riserva di Quarto S. Chiara è verde più che mai e le acque
scorrono placide nei cheti ruscelli contornati da colorati fiori
solleticati dalla dolce brezza adornata da nuvole di poetiche farfalle
scintillanti al brillante sole di inizio maggio.
La poesia di questo ambiente viene rovinata dalla presenza di due
loschi figuri che si intromettono prepotentemente nelle fotografie.
Dall’altro lato c’è l’abitato di Pescocostanzo, situato sotto la cresta
di Pietramaggiore (la cresta che, da Rivisondoli, passando per il M.
Calvario, porta sul M. Rotella) che, dopo alcuni giorni di pioggia,
finalmente può sdraiarsi comodamente per prendere un po’ di sole.
Dopo ripidi tratti erbosi, la pendenza finalmente diminuisce e possiamo
goderci meglio il meraviglioso spettacolo che, a primavera, madre
natura ci offre.
In realtà, mi piacerebbe godermi la natura ma è impossibile in quanto,
il giullare di corte non pone fine alle sue cretinate e non
riusciamo neanche a pensare all’ambiente.
Persino il casinaro di Marco chiede al pazzo di effettuare una tregua.
La cresta è molto lunga ma non basta; per allungare ulteriormente la camminata, sbagliamo via di proposito.
Ci sono due creste con una valle in mezzo; la cresta segnalata con i
paletti del parco è quella di destra ma a noi piace di più quella di
sinistra e la seguiamo (tanto il percorso è a vista!)
Bellissime genzianelle fiorite decorano con classe il verde prato di
alta quota, peccato (come al solito) che il tutto è rovinato da un
parassita che infesta sempre le fotografie.
Continuiamo a salire a velocità supersonica (ma dove dobbiamo andare?)
quando, tutt’ad un tratto, Giustino pone un quesito: “Ma stiamo
camminando con il passo sociale?”
Inizialmente ho un momento di perplessità, poi mi rendo conto della str… stupidaggine e mi faccio una risata.
Alle spalle degli scamosciatori si possono vedere chiaramente le due creste. Noi proveniamo da quella di destra.
Finalmente si vede la vetta “abbellita” dalle mostruose figure di
alcuni ripetitori radio (vogliamo comunicare con gli extraterrestri?
Becchiamoci questo!).
Parte la volata. Con uno scatto felino (sembro un tasso lardone che ha
visto un teglia di lasagne (-perché, i tassi mangiano le lasagne?
–si,anche i ravioli!)) guadagno la testa del gruppo (siamo in tre), il
cuore mi batte a mille…duemila…tremila…sta per scoppiare. Giustino,
come un ippopotamo bovino, prova a scattare ma dopo due passi inciampa
e si tomma stile scardapuzza a panza all’aria. Mio fratello invece
parte in ritardo e, resosi conto dell’impossibilità di recuperare il
terreno perso, si ferma poco dopo lasciando la vittoria del gran premio
della montagna all’unico, l’irraggiungibile, l’inimitabile,
l’invulnerabile deficiente che corre da solo per circa 100m rischiando
di schiattare per arrivare per primo sul monte Pizzalto. (bravo!)
I camosci: Giustino, Marco ed Alfredo, alle 11:00 “conquistano” la vetta del Pizzalto. (freeeeect!!!!)
E’ ora di ringraziare il “Dio della Montagna”.
E’ anche l’ora di recuperare le energie perdute durante la
“faticosissima” e “difficilissima” ascesa a questa cima classificata
come una delle “più difficili” degli appennini mondiali.
Il M. Porrara inizia a stancarsi delle nostre cretinate e ci avverte,
con minacciose nuvole, che se non facciamo i bravi ci punirà in maniera
esemplare.
Senza fiatare (ma sfiatare) iniziamo a scendere in maniera composta ed
educata oltretutto, abbiamo anche violato il regolamento infatti siamo
rpartiti alle 11:30 (se ci vedesse Ndonio!!!)
Non ripercorriamo lo stesso itinerario dell’andata ma avanziamo
lentamente ed attentamente (che vi siete impazziti?) alla ricerca di
una via percorribile d’inverno con gli sci da escursionismo.
Passiamo dai boschi con residui di neve fossile…
…a prati sterminati con farfalline e zanzarine rompisactoline.
Le scatole ce le siamo rotte veramente, anche la schiena.
Bisogna stendersi un po’!
Chi non ci riesce si fa aiutare.
Si vede che abbiamo tempo da perdere!
Riprendiamo la discesa immergendosi in una stretta valle nell’oscura selva del Pizzalto.
Non so spiegare esattamente l’itinerario da noi percorso in quanto
giriamo in lungo ed in largo, saliamo, scendiamo, andiamo avanti,
torniamo indietro, giriamo a destra per poi andare a sinistra…è un
macello.
L’unica cosa certa è che stiamo scendendo lungo una valle rivolta sul lato di Quarto S. Chiara.
Anche io voglio essere presente nelle foto.
La valle si stringe, i rami nascosti dalle foglie secche ed umide sono
delle trappole micidiali e, l’uomo che sembra ubriaco anche quando non
beve, inizia ad assumere un movimento ondulatorio al quanto singolare.
Scende disegnando zig zag molto stretti e veloci, in maniera tale da
non camminare al centro del canale, evitando così di scivolare sui rami
accumulati.
“Cussù stà for!”
Salta come un grillo divertendosi come un matto.
“Sembra divertente, ci provo anch’io”.
Dopo le prime due svolte prendo in pieno un ramo nascosto e scivolo
effettuando un triplo salto mortale carpiato all’indietro posando
“delicatamente” i dolci glutei sui trochettini bastardini affamati di
cretini.
Mi rialzo con disinvoltura e, sotto le risa sguaiate dei miei compagni,
riparto di corsa effettuando lo stesso movimento di prima.
Prima curva, seconda curva, terza, quarta “wow è fantastico!”
sbadabam…crack. “ah ah ah ah ah” “Giustì che ti ridi, ho scivolato e ho
caduto!”
Penso: “sarà stato un caso, è pieno di rami. Ma perché quel pazzo non casca?!”
Mi fermo, rifletto, chiudo gli occhi, li riapro e riparto.
Questa volta, dopo un pieno di concentrazione, di convinzione e di rabbia…mi schianto al suolo immediatamente.
“Ma vaff…”
Giustino è piegato in due dalle risate, non riesce a prendere fiato.
Proseguo in maniera Alfredo perché, in maniera Giustino solo Giustino lo può fare infatti, non casco più.
Devo dire però che questo bosco è pieno, ma pieno di rami secchi
perfetti da usare come legna da ardere in un caminetto con una ratella
di savicicce.
Capito Ndò?
Finalmente finisce la discesa e sbocchiamo sulla sterrata che costeggia in pianura la base della montagna.
Le primule sorridono al nostro arrivo.
Camminiamo allegramente cantando, fischiando e s… lungo i verdi ed umidi prati fioriti della riserva naturale.
Che bello, un caratteristico rifugio alpino-appenninico-chiuso incontriamo lungo il sentiero.
Il prato è verde, ma di un verde talmente verde che verdeggia tutto il
verde contorno. (lo so, la foto è storta ma, non potevo sdraiarmi
perché era pieno d’acqua. Non puoi commettere un piccolo errore che se
ne accogono tutti! (manca la erre alla parola accorgono))
Torniamo al punto di partenza dopo circa 2 ore, 15 minuti e 47 secondi
quindi, se so fare bene i conti, avendo lasciato la vetta alle 11:30 e
sommandoci il tempo di discesa, fanno le 14:15…no, no, le 13:45.
A Pettorano sul Gizio si festeggia.
Non credevo che questa montagna fosse così bella, io l’avevo vista
sempre da cime più alte classificandola, erroneamente, come collinone
senza senso; mi sbagliavo.
Devo fare i miei complimenti al sig. Pardi che ha delle gambe
veramente formidabili (la testa no), ha corso per tutto il tempo (lo so
che in montagna non si corre ma dobbiamo allenarci) se continuiamo
così, stabiliremo il nuovo tempo record di salita all’ Everest. (ma
statt zitt!)
Un saluto a tutti, alla prossima, ciao ciao, arrivederci, buonasera, ci vediamo, asta la vista…-“e vattene!!!”