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26-03-2006 Vallone di Taranta
Campo di Giove ore 08:00.


Iniziamo a risalire la pista battuta senza prendere la seggiovia (non funzionante).
A partecipare all’escursione sono insieme a me anche Giustino, Marco, Manlio e Rossano che, con quella tavola da snow attaccata allo zaino, sembra un aeroplano della prima guerra mondiale.


Non voglio raccontare il tratto di salita lungo la pista in quanto, per “alcune persone”, è stato straziante visto che potevamo prendere l’impianto di risalita (sempre non funzionante).


Dopo circa un’ora di non esaltante salita raggiungiamo Guado di Coccia e ci accorgiamo che la seggiovia gira.
Il sole picchia duro. Ci concediamo una sosta per trovare dei rimedi per far fronte al calore che, l’enorme palla di fuoco sopra le nostre teste, ci sta ustionando (acqua e crema solare).
Ci spetta il tratto più duro della nostra escursione: dobbiamo salire a Tavola Rotonda.


Il Barone Rosso guadagna quota effettuando alcune acrobatiche virate.
 

Noi invece, non possedendo un aeroplano, non possiamo virare perciò, saliamo dritti sotto i vecchi impianti di risalita.


Sembra di essere sopra le nuvole: la neve è splendida, il panorama è stupendo e l’ambiente è grandioso. Se volessimo scendere da qui, avremmo solo l’imbarazzo della scelta per trovare la giusta via.
Da una parte è un peccato che questa zona sia lasciata all’abbandono sotto il punto di vista del turismo invernale dato che in passato era molto ben attrezzata.
Potrebbe essere la località sciistica più alta d’Abruzzo per via degli skilift che arrivano fino a circa 2400 m.


Il nostro pilota Killer talvolta si volta volteggiando per ammirare lo strepitoso ambiente che ci circonda.


Continuiamo a salire lungo il ripido pendio ben segnalato dagli osceni piloni del vecchio impianto (non voglio contraddire quello che ho espresso prima ma, questi pali, in un ambiente  del genere, fanno proprio schifo!) avendo sempre alle spalle la cresta del M. Porrara.


Arriviamo finalmente alla fine dei piloni ed incontriamo due simpatici scialpinisti che effettuano una sosta prima della discesa.
La pendenza è diminuita notevolmente infatti, il maggior dislivello lo abbiamo coperto in quest’ultimo tratto (chiamalo tratto!).


Mentre Manlio e Marco si mettono in posa per farsi fotografare vicino a delle scultoree conformazioni che il ghiaccio, modellato dal vento e dalla temperatura polare, ha assunto a ridosso di singolari rocce appostate a prendere il “caldo” sole di marzo a 2385,73 m, Giustino se ne va per la tangente (come al solito) e fotografa, per fatti suoi, i cristalli di ghiaccio messisi in posa per lui. (che frase eh? Da filosofo!)


La catena del Gran Sasso mostra i muscoli facendosi vedere con il suo vestito autunno/inverno 2005 (anche se siamo nel 2006).


Io invece, non mostro i muscoli ma, la mia nuova maglia da ciclista antivento comprata la settimana scorsa. Bella eh? (ho capito, non ve ne importa un cavolo!)


La nostra seconda tappa è vicina! (-e la prima qual’era?  -Possibile che non te lo ricordi? Guado di Coccia! -Scusa non ti arrabbiare!)


Giungiamo allegramente a Tavola Rotonda dove un mirabolante (non so che significa ma mi piace) spettacolo pirotecnico celebra il nostro arrivo.


Lo svitato del gruppo sfida il vento nel tentativo di posizionare la sua fotocamera sopra un cavalletto proveniente da Lilliput.


Invece il Barone Rosso freme dalla voglia di spiccare il volo verso l’infinito universo bianco che ci avvolge cercando di evitare un inaspettato naufragio nel candido mare infestato di creature extraterrene le quali potrebbero essere colte da improvvisi turbamenti in virtù del fatto che esseri occulti occupino il loro segmento spazio-temporale nell’illogico enigma dell’esistenza. (ora basta con le cavolate)


Scendiamo dalla cima con questa formazione: il killer della neve in testa, a seguire ci sono io, Manlio è al terzo posto, poi c’è …., c’è…., chi c’è?
Non ci segue nessuno! Ci voltiamo e vediamo Giustino e Marco che stanno facendo ancora baldoria sulla vetta.
Percorriamo una sterminata pianura sotto un assolato sole soleggiante.


Il povero Manlio (non è povero anzi, guadagna una barca di soldi!) comincia ad avvertire i morsi della fame.


In lontananza ecco spuntare i due casinari che vengono verso di noi.


Manlio non ce la fa più, deve mangiare, si tuffa dentro il suo zaino alla ricerca della mitica stozza.
Si mangia quindici panini e, finalmente ristorato, riprende il viaggio arzillo come un vecchietto.


La pianura di Femmina Morta compare come un miraggio davanti ai nostri occhi.
Siamo felici di essere arrivati a questo punto ma sappiamo bene che l’altopiano che ci attende è molto lungo, sotto il sole a senza vento.
Scendiamo nella valle e ci accorgiamo che la neve è leggermente cambiata; il sole comincia ad eseguire il suo lavoro di distruttore (non solo di neve!).
Un altro panino per Manlio e via nella pianura (che poi proprio pianura non è).
Sulla nostra destra abbiamo l’imponente mole del monte Macellaro che ci osserva come il gigante davanti all’omino (non ricordo il nome) salito sulla pianta di fagioli a recuperare la gallina dalle uova d’oro.
Dopo ore di progressione sugli sci, Manlio stramazza al suolo morto di fame.
 

Ormai ha terminato tutti i viveri e si arrangia con quello che trova.


Di fronte a noi abbiamo il “mostro”. Il monte amaro, con il bivacco pelino sulla sua testa, attende famelico il nostro arrivo.
Il voccaperta però non sa che non dobbiamo salirci sopra eh eh eh.
Noi dobbiamo oltrepassare la cresta del Macellaro cercando di arrivare ad una sella dove la pendenza è minore.
Il percorso è lungo e questo valico non si vede.
Dopo un bel po’ di tempo si scopre la sella però, è molto lontana.
Per evitare che i miei compagni crepino, alla vista dell’enorme distanza che ci separa dal passo, mi invento un sentiero sulla destra che sale obliquamente lungo il pendio.


Questo percorso non è molto comodo anzi, fa proprio cac…ehm…schifo.
Ci sono anche altre persone dietro di noi ma, non sono scemi come noi, loro passano lungo il sentiero esatto.
Arriviamo, grazie al cielo, alla tanto attesa sella ma, all’appello mancano Manlio e Rossano.
Giustino è riuscito a capire (evento straordinario) che, i due con la barba, non ci sono venuti dietro fino alla fine ma, si sono rotti le scatole e sono saliti dritti per dritti lungo il pendio. Menomale che Manlio non aveva più le forze! Sono sicuro però, che è stato il delinquente di Rossano a tentarlo come ha fatto Lucifero nel deserto.
Il gruppo si è momentaneamente separato: io, mio fratello e il picchiatello saliamo a Sella di Grotta Canosa e Manlio ed Admin scendono direttamente verso il vallone di Taranta.


Noi tre raggiungiamo il punto più alto dell’intera traversata mentre, i due iniziano a scendere come colti da un’insolita follia da discesa.
Passiamo davanti a grotta Canosa, completamente ricoperta di neve, scendiamo a valle e ci ricongiungiamo con i nostri compagni.


Dobbiamo scendere di li.
Se finora, noi sciescursionisti, abbiamo fatto la parte del leone, staccando in salita l’amico con le racchette, adesso in discesa rimaniamo molto, ma molto dietro.
Il Barone Rosso infatti, spicca il volo e senza degnarsi nemmeno di uno sguardo, si tuffa come un razzo (i razzi non si tuffano, forse i siluri) si tuffa come un siluro nel vallone di Taranta, sul lato destro dell’Altare dello Stintone. (non l’ho potuto fotografare perché è sparito)


Noi, comuni mortali, rimaniamo di stucco e ci avviamo pian pianino verso il lato sinistro dell’Altare in quanto dovrebbe essere meno ripido.
Io faccio da cavia infatti, gli infami dei miei compagni mi mandano avanti a saggiare il terreno.
La pendenza pende non poco ma cerco di affrontarla scendendo disegnando lunghi traversi.


Dietro di me, si abbenda (lancia) come un folle, il vero folle preso da un folle attacco di folle follia (Giustino).
Finito questo ripido tratto, non mi sento molto bene,  avverto come un dolore all’addome. Non riesco proprio a stare in piedi, per fortuna ci sono delle rocce vicino. Mi siedo sopra una di queste, apro lo zaino, estraggo un panino e lo “aspiro”.
Sembra che il farmaco abbia funzionato; mi sento proprio bene!


Nel frattempo arriva Giustino il quale ripete le mie stesse azioni (si scrofana un pranzo di matrimonio).
Poco dopo ci raggiunge Marco e successivamente Manlio.


Ripartiamo giù per il vallone pensando a Rossano che sicuramente si sarà appisolato per aspettarci.


Non si è affatto appisolato anzi, ci guarda minaccioso covando in se una cazziata da premio oscar.
Raggiungiamo il nostro amico il quale ci comunica che, se tardavamo ancora di un minuto, sarebbe andato via visto che la macchina, lasciata in fondo alla valle il giorno prima, è sua.


Lo spericolato surfista della neve riparte assumendo pose da fotomodello come se dovesse comparire su una rivista di alpinismo (ma chi cavolo ti credi di essere, guarda che abiti al Tricalle (verde località sita sui colli teatini)).


Al contrario del suddetto sbruffone, in coda al gruppo c’è Manlio che, stremato dalla fatica, non gli se ne frega proprio niente di posare per un giornale.


La neve si fa sempre più schifosa e le gambe si abbottano per la fatica.
Arriviamo al passaggio più ostico della valle: un salto di circa 7m ostacola il nostro cammino.
Ci sono delle orme di scarponi che provengono da una impressionante strettoia fra le demoniache pareti della valle.
Allo sbruffone del Tricalle non importa niente se fra quelle rocce ci può (ci sta) un pericoloso salto verso la morte.
Dice che è capace di passare con la tavola in qualsiasi parte dove un qualsiasi essere sia passato a piedi (è arrivato Gesù Cristo!)


Si tuffa a pesce fra le rocce affamate di vite umane senza nemmeno darci l’ultimo saluto.


Il salto visto dal basso.


Io tolgo gli sci, li getto giù lungo la valle e scendo a piedi d un’altra parte.
Il resto della compagnia scende, senza sci, dalla stessa via di Rossano.
La neve è ormai una mer…una mera schifezza!
Si affonda, si sprofonda, si nuota, non sappiamo più come fare a scendere.


Solo quel faccia gialla del Signore delle Tavole scivola tranquillo verso il fondo della valle alla stessa maniera di una boccia che corre con precisione sul levigato piano verso lo stolto boccino che rimane li a bocca aperta aspettando di essere colpito.
Affrontiamo un terribile tratto nel bosco sbattendo fra gli alberi come le palline di un flipper.
Non ce la faccio più ascendere in queste condizioni; sono costretto ad appendermi ai rami degli alberi per cercare di frenare. Molte volte non li riesco a prendere solamente con le mani, anche con i denti!
Sudato come un suino (per non dire porco), a circa 100m dalla fine della neve melmosa, tolgo gli sci e raggiungo l’uomo del Tricalle, fermo ad aspettare chissà da quanto tempo.
Subito dopo di me arriva mister Pardi con gli sci ai piedi (pur camminando come uno con la diarrea, gli sci rimangono ai suoi piedi).
Mancano solamente le due emme (Marco e Manlio).
Dove saranno? Cosa sarà successo? Se li saranno mangiati i lupi? O i lupi saranno stati mangiati da loro? E se, stremati dalla fatica, saranno tornati indietro? Ma non diciamo cavolate, eccoli lassù che vengono quaggiù.
Ricompattiamo il gruppo e tutti insieme appassionatamente iniziamo ad appesantire gli zaini con sci, pelli di foca, snow board e persino scarponi da scialpinismo.


Manlio respira profondamente e si concentra al massimo per cercare di diventare un portatore di alta quota al fine di sollevare il suo pachidermico zaino dove all’interno è racchiuso un negozio di alpinismo himalaiano.


Inizia la discesa su una “comoda” stradina composta da sassolini che penetrano dolcemente nelle piante dei nostri piedini provocandoci, sempre con armonia, simpatiche escoriazioni guaribili in soli 89 giorni.


Ci voltiamo per dare un ultimo sguardo alle luminose pareti incantate della valle più spettacolare della Majella e ci buttiamo a capofitto verso la “distorsiva” (che provoca distorsioni alle caviglie) discesa.
Scendiamo lungo una sterrata che serpeggia vicino alla bidonvia della Grotta del Cavallone.


Al termine di questa, il Barone Rosso atterra sulla pista, salutando i suoi connazionali dopo aver vinto la battaglia.


Alle ore 18:00 arriviamo esausti alla meravigliosa vettura di Rossano (nelle condizioni in cui stiamo anche un’apetta è meravigliosa!).
Torniamo a Campo di Giove a recuperare le altre due macchine, ci cambiamo e ci rechiamo al bar del paese all’interno del quale è doveroso dare un significato alla bella e faticosa giornata dove tre attività inerenti alla neve ma differenti fra di loro si sono incontrate (e metticela qualche virgola!) ed hanno cercato di percorrere insieme la lunga via della vita. (niente virgole!)

Il significato della giornata!!!!



 



 










 
 
1 Commenti
Articolo del 05 Apr 2006 by Alfredo
by Admin @ 06 Apr 2006 08:23 am
Questa frase... :"Invece il Barone Rosso freme dalla voglia di spiccare il volo verso l’infinito universo bianco che ci avvolge cercando di evitare un inaspettato naufragio nel candido mare infestato di creature extraterrene le quali potrebbero essere colte da improvvisi turbamenti in virtù del fatto che esseri occulti occupino il loro segmento spazio-temporale nell’illogico enigma dell’esistenza."
Me la stamperò sulla maglietta

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