In seguito a numerosi reclami, concernenti al modo di scrivere gli
articoli alquanto inconsueto e poco credibile, mi limiterò solamente a
raccontare gli eventi realmente accaduti senza aggiungere alcun
commento.
Passo S. Leonardo ore 08:50.
Sotto una fitta nebbia ed una flebile nevicata, Giustino, Marco ed io,
con gli sci ai piedi, partiamo alla cieca nel tentativo di trovare la
via che conduce al rifugio Capoposto nei pressi di “Mandracastrata”
(località sita sul gruppo del Morrone sotto la vetta del M. Mileto).
La visibilità è molto ridotta, saliamo infatti lungo la pista battuta subito dietro l’albergo.
La temperatura è molto bassa e la digitale di Giustino si blocca non
dando più segni di vita. Che cioccolo (in italiano bandone…ehm…
barattolo di latta scadente) di macchina fotografica! (è uguale alla
mia)
La neve ghiacciata non ci permette di salire senza pelli, siamo
costretti quindi a fermarci e ad attaccare agli sci questi preziosi
accessori che ci permetteranno di non scivolare all’indietro.
Giungiamo fino alla fine dell’ infinito (50 m) impianto di risalita di questa “famosissima” località sciistica.
Entriamo nell’ovattato bosco e percorriamo il poco evidente sentiero chiamato anche “via delle signore”.
Giustino non è molto soddisfatto in quanto non si sentono camosci in
giro (forse per la nebbia) però, mio fratello è molto fiducioso e pensa
di inventare un richiamo per attirarli.
Procedendo lentamente lungo il sentiero, guadagnamo quota mentre, la nebbia rimane sola soletta in fondo.
Usciamo finalmente dalla tetra atmosfera che lo spettrale bosco,
infestato da spiriti maligni, opprimeva i nostri semplici animi con
inquietanti sensazioni di tacito terrore.
Compiamo gli ultimi passi verso l’alba e poi non vediamo più niente.
Il bianco della neve associato alle chiare nubi sospese nell’aere ha
fatto in modo che i nostri organi, abilitati all’esercizio della vista,
non svolgessero a pieno la loro funzione.
In parole povere il riverbero ci sta cecando.
Il sentiero è ormai ricoperto dalla neve e non si intuisce più il suo andamento.
Siamo costretti a procedere, lungo il ripido pendio, salendo a zig zag proprio come a tagliare una valanga.
Arriviamo circa 100 m sotto la vetta quando le condizioni della neve
cambiano improvvisamente ( lo so, lo so dicono tutti così per non
ammettere che si sono straccati, noi no, è proprio da imprudenti
proseguire).
I nostri sci iniziano a scivolare (dico i nostri sci perché siamo soli,
altrimenti scivolerebbe qualsiasi altro sci) in quanto poggiano su neve
fresca depositata su neve ghiacciata.
Una serie di strane coincidenze ci turba leggermente: la temperatura è
aumentata; lungo un canale della montagna di fronte, chiamata Majella,
ho sentito una scarica; si vedono intorno a noi accumuli dovuti a
slavine e le nostre tracce hanno tagliato il pendio con enormi solchi.
Questi curiosi eventi, l’assenza di camosci a questa quota ed il
restringimento dei due muscoli più sviluppati del corpo umano, hanno
fatto in modo che, alle 11:15, con qualche mia perplessità (il solito
incosciente), lo immaginate voi.
Scendiamo con cautela, senza togliere le pelli, percorrendo le nostre tracce a ritroso.
Zigzagando lentamente noi scendiamo allegramente se il maltempo sarà clemente torneremo fieramente.
Torniamo nell’agghiacciante bosco ad una velocità prossima a quella del suono.
Questa velocità si riduce a zero con il diminuire della pendenza.
E’ necessaria un sosta per togliere le pelli dagli sci.
Mentre effettuiamo la sosta tecnica, la maledizione del maledetto bosco
maledetto, mi maledice e mi trasforma in un maledetto demone che vuole
colpire il buon Giustino con uno sci.
Fortunatamente il simpatico Pardi chiama un fatato camoscio che come per incanto mi libera dall’incantesimo.
Terminata questa assurda vicenda (non vi spaventate è solo una burla,
non esistono i demoni veri, solo quelli finti), torniamo a scendere
tranquillamente giù per il sentiero.
L’allegria finisce ben presto infatti, rientriamo nella opprimente
nebbia la quale ci impedisce persino di vedere le tracce lasciate da
noi all’andata.
La temperatura relativamente alta (bastarda), ha leggermente sciolto la
neve rendendola così insidiosa e dispettosa da farci prendere velocità
incredibili senza poter controllare gli sci in quanto affondavano
scavandosi dei solchi senza uscita (in questo pezzo non ho inserito
neanche una virgola in modo da sfiatare il lettore).
Rimettiamo le pelli di foca per cercare di rallentare la velocità ma,
la colla non è più quella di una volta. Si staccano facilmente e
rischiamo di perderle.
Le capriole, i rami spezzati, i salti con il trampolino ed i buchi in mezzo alla neve si sprecano.
Per fortuna riusciamo ad arrivare intatti all’inizio del “pistone” da sci di Passo S. Leonardo.
Sotto un “sole splendente” effettuiamo l’ultima tranquilla discesa (grazie al cavolo, la pista è battuta) fino all’albergo.
Dopo tanto travaglio, alle 12:30, giungiamo sani e salvi alla macchina. (l’auto di Giustino è quella di sinistra!)
Anche se non abbiamo raggiunto la cresta (ogni tanto il buonsenso ha il sopravvento) ci siamo divertiti da pazzi.
Per stare bene in montagna, non bisogna solamente raggiungere dei
traguardi, basata essere in compagnia di veri amici con cui condividere
le emozioni (non piangete!). Con Giustino è un po’ più difficile
(scherzo, scherzo, Giustì non mi menà).