Viste le incerte condizioni metereologiche, l’unico posto dove è possibile effettuare una sciatina è l’altopiano del Voltigno.
Da Villaceliera percorriamo in macchina la ghiacciatissima strada che sale verso la nostra destinazione.
Parcheggiamo in uno spiazzo dove si incrociano le strade innevate che
conducono rispettivamente al Voltignolo ed al Voltigno.
Indossiamo gli sci e prendiamo la via di destra che parte in lieve salita.
Soffia un fastidioso e freddo venticello il quale ha ricoperto di neve la pista battuta (gli sci scorrono pochissimo).
Sciamo nel bosco ad una temperatura di circa –3°C (l’orologio con le
funzioni di: altimetro, bussola, barometro, termometro, goniometro,
normografo, binocolo, petofono, voltometro, grammofono di mio fratello
è na munnezz, se ne va per i fatti suoi).
Dopo circa 6 ore di fredda sciata nel bosco ( 20 minuti) ecco, si apre avanti a noi l’altopiano del Voltigno.
Il monte Meta, che ha la forma di un trampolino, domina l’ingresso
dell’enorme pianura come il cane a tre teste che è alle porte
dell’inferno dantesco.
La neve è completamente ghiacciata, più che gli sci, occorrono i
pattini. (per scattare questa foto ho dovuto spalmarmi sul ghiaccio
congelandomi le mandibole e non ho neanche fatto un capolavoro
anzi, fa schifo!)
Percorriamo l’altopiano con un forte vento contrario che rende
estremamente difficoltosa la progressione infatti abbiamo anche pensato
di rinunciare (in realtà il vento l’abbiamo alle spalle e schizziamo
come bisce senza alcuno sforzo).
Passiamo lungo il confine del bosco che circonda la pianura al fine di
individuare l’imbocco della strada, d’estate sterrata, che s’inoltra
nella selva salendo verso la cresta.
Entriamo nella foresta pietrificata e iniziamo a salire a fatica lungo
il non evidente percorso. Per fortuna i segnali sugli alberi ci
indicano la retta via.
La neve ventata non ci permette procedere comodamente; si scivola all’indietro.
E’ giunta l’ora di mettere le pelli di foca.
Ora si che si sale meglio!
Seguiamo il percorso segnato a fatica in quanto la neve, sparata dal
vento sui tronchi degli alberi, ha ricoperto la maggior parte dei
segnavia giallo-rossi.
Saliamo ancora per un po’ e perdiamo la direzione giusta per via della
neve ventata che è riuscita a nascondere abilmente la strada.
Cosa dobbiamo fare? Pensando agli insegnamenti del caro vecchio amico
Antonio, che è rimasto nella sua casetta sui colli di Fara Filiorum
Petri per terminare la costruzione di una gabbia per i conigli, siamo
saliti puntando dritti verso il pendio.
Mio fratello non è molto convinto della riuscita dell’impresa infatti
ha tenuto il muso, come un bimbo a cui hanno rubato il palloncino
comprato dall’arzillo nonno alla festa di S. Antonio Abate, fino alla
fine della salita.
Usciamo proprio sulla sterrata che avevamo perso circa 200m più in basso.
Il cetriolone di Marco rimane di stucco e facendo finta che non fosse accaduto nulla continua lungo la via.
Passiamo per un punto panoramico da dove si vede dall’alto tutta la piana del Voltigno.
Proseguiamo il nostro cammino e raggiungiamo un valico dove passiamo dall’altro versante della catena.
Da qui si scoprono: il M. Sirente, il M. Magnola, il M.Velino, il M. Cagno, etc.
Andiamo avanti, siamo vicini alla vetta. Entriamo nell’ultima valle prima di raggiungere il nirvana.
Il manto nevoso è molto irregolare: passa dalla neve soffice, in quanto ventata, alla neve liscia e ghiacciata.
Ormai vediamo il cippo sulla vetta.
Dall’ultima volta che ci siamo saliti mi sembra che qualcosa sia cambiato.
Appena giunti in cresta il vento ha fatto la sua ricomparsa rompendoci le uova nel paniere (adesso si chiamano così!).
Mio fratello mi guarda dall’alto come a dire: “iamè muvt” (avanti muoviti).
Non raggiunge subito il culmine della salita in quanto, colpito da un
attacco di pietà, il caritatevole trombettiere, mi ha voluto attendere
per arrivare all’unisono in cima.
Alle ore 10:45, io (per chi non lo sapesse ancora mi chiamo Alfredo) e
mio fratello, raggiungiamo la cima del M. Cappucciata (1801 m).
Ripensando a prima, era cambiato effettivamente qualcosa. In vetta non
c’è più un’ orribile struttura in ferro a forma di impalcatura. Meglio
così.
Il vento è abbastanza forte e molto freddo (anche se non si vede bene, nella foto, i bastoncini non li stringo nelle mani).
Non abbiamo ne il tempo ne la voglia di rimanere e dopo cinque minuti scarsi ripartiamo verso la valle.
Scendiamo senza togliere la pelli di foca per due motivi:
1) il manto nevoso è ghiacciatissimo quindi molto pericoloso;
2) siamo scarsi quindi molto pericoloso.
Torniamo in un posto riparato dal vento ma, ci accorgiamo di un fatto spiacevole: il tempo non è più quello di prima!
“Cavolo!” (non ho detto proprio così) speriamo che non nevichi altrimenti rimarremo imbarcati col furgone.
Arriviamo in un posto tranquillo dove la neve torna ad assumere una
consistenza tale da poter essere solcata da due sciuscelloni come noi.
Togliamo le pelli e via giù per i candidi dolci pendii che solo questo
magico luogo ci può offrire (non è vero, ce ne sono di pendii in
Abruzzo!).
Torniamo nel bosco (questa volta seguiamo la strada) e scendiamo
dolcemente, molto dolcemente, troppo dolcemente…a volte ci spingiamo
con i bastoni.
Come ogni uscita dei camosci, è vietato seguire il sentiero segnato
fino alla fine perciò, verso il termine del bosco, per non perdere
tempo a ritrovare i segnali, scendiamo dritti fra le piante (a volte le
becchiamo in pieno).
Usciamo finalmente dalla selva fatata e sciamo fra i magnifici dossi del Voltigno.
Avvistiamo una casetta tra gli alberi e ci avviciniamo per verificare
se fosse abitata (mio nonno mi dice sempre di farmi i fatti miei! (non
dice proprio la parola “fatti”)).
Mio nonno ha sempre ragione! Uno zombi boscaiolo corre verso di noi con
strane intenzioni! Ci vuole rompere le ossa perché stiamo disturbando
il suo riposino pomeridiano.
Scappiamo via come slitte trainate da cani da slitta senza slitta.
Ci immettiamo sulla strada che ci avrebbe condotto al Voltignolo e poi
alla macchina (finalmente! Mi sono “leggermente” rotto le scatole a
scrivere! Figuratevi chi legge!)
Una nevicata improvvisa ci colora di bianco in pochi secondi.
Dobbiamo affrettarci per non ritrovare il furgone sommerso dalla neve.
Sciare nel bosco sotto una fitta nevicata mi fa provare una sensazione fantastica.
Per fortuna la fase più intensa della bufera dura poco tempo anzi, smette proprio di nevicare.
Ecco la discesa finale.
Raggiungiamo il furgone che, nonostante la neve, è rimasto come prima.
Evidentemente il vento non ha fatto depositare questa acqua allo stato semi solido sulla strada.
Terza vetta dell’anno, anche se non particolarmente alta ma, con questo tempo non potevamo fare di più.
Chiedo scusa per la lunghezza dell’articolo ma mi sono immedesimato
troppo nell’avventura, come se l’avessi vissuta personalmente.
Scosato anghe per gli errori ortografici e grammaticali ma, che volete
io ho arrivato solamende alla terza alimentare aripetuta.
Ciao e….commentate! Capito ‘Ndò?