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24-12-2005 M.Amaro (2793 m)

Ogni anno, il giorno della vigilia di natale, è tradizione dei Camosci salire sul M. Amaro (la cima più alta della Majella) lungo la direttissima.


Con le racchette ai piedi siamo partiti all’alba dall’albergo di Passo S. Leonardo sparati verso il lontano canalone.


Mentre camminavamo, le montagne che ci circondavano si coloravano di rosa, il sole cominciava a svegliarsi, ed insieme a lui anche i camosci della zona.


Oltrepassiamo velocemente il bosco ed usciamo poco sotto l’attacco della direttissima.
 
Scopriamo una spiacevole sorpresa: il canale è ricoperto da un consistente strato di neve ventata.


Siamo dovuti salire perciò lungo il bordo sinistro (destra orografica) della valle.


La giornata era freddissima ma allo stesso tempo limpidissima.


Le montagne che ci circondavano apparivano ben definite, mai visto un panorama  del genere con tale definizione (mamma mia come parlo pizzùto!).
Man mano che guadagnavamo quota, la neve si faceva sempre più dura e le racchette non tenevano più,

 

quindi è stato necessario effettuare un pit-stop  tecnico per cambio gomme (abbiamo messo i ramponi).
Percorrendo il ripido dosso, siamo usciti in una zona dove il forte vento gelido ha abbassato la nostra temperatura corporea di circa 70°c in 2,6 secondi.

 

Abbiamo dovuto perciò prendere provvedimenti coprendoci a dovere.

 

C’è anche chi ha approfittato della pausa per mangiarsi una busta di plastica.


Sulle rocce, il vento gelido aveva formato dei cristalli di ghiaccio veramente spettacolari.


Una volta giunti in cresta il paesaggio era glaciale, sembrava di essere Siberia.
Percorriamo abbastanza velocemente il breve tratto che ci separava dalla cima a causa del forte vento “himalayano” che ci penetrava direttamente ni midolli ossei (volevamo ripararci nel bivacco al più presto).
Alle ore 13:05 i Camosci d’Abruzzo: Antonio(proveniente da Fara Filiorum Petri), Attilio, Alfredo ed il fragoroso Marco, raggiungono in vetta al Monte Amaro.


Il primo a farsi fotografare sotto la croce è Marco. Poi le pile della macchinetta fotografica si erano scaricate quindi di corsa nel bivacco a sostituirle.


Il Pelino era parzialmente ricoperto dal ghiaccio sparato dal vento.
Credevamo che anche la porta fosse sotto lo spesso strato di vetro ma,

 

fortunatamente ecco il tanto desiderato sportello spuntare bello pulito.


All’interno non era poi così caldo, anzi si gelava.
Dopo un veloce spuntino, due foto, e quttro chacchiere, abbiamo deciso di ripartire altrimenti saremmo congelati.
Ci siamo preparati molto velocemente (non avevamo neanche tolto i ramponi) e via fuori dal gelido bivacco.
Prima di ripartire abbiamo fatto l’appello; Antonio: “presente”, Marco: “presente”, Alfredo “presente”, Attilio:…..Attilio:…..Attiliooooo: si sentiva solo il vento atroce che, a circa –7°C, ci stava picchiando.
Dove cavolo stava il capellone. Sono rientrato nel rifugio ed il nostro amico si trovava li dentro con la testa dentro lo zaino a rovistare alla ricerca degli indumenti adatti alle condizioni climatiche esterne.
Dopo essere andato a tranquillizzare i miei compagni preoccupati (non è vero si  stavano raccontando le barzellette), siamo andati ad ammazzare il tempo (ma non il freddo) sul punto più alto della cima.


Io e l’anziano signore, residente nella patria delle Farchie, ci siamo fatti fotografare in posa trionfale (non stavamo in piedi dal freddo) sotto la croce.


Però l’egoista farese si è voluto far fotografare anche da solo come se fosse il conquistatore del mondo.
Si ma Attilio che stava a fare? Dopo 60 minuti di attesa (in realtà non era passato molto ma con quel freddo atroce il tempo sembrava non passare mai) ecco la porticina del Pelino che si apre ed il ragazzo dallo sguardo di pietra esce lentamente come Terminator 2 vien fuori dal bar ( Uè Attì, non te la prendere, sto scherzando (mica tanto)).


Dopo aver dato l’ultimo sguardo ai monti, iniziamo la discesa.


Torniamo per la stessa via dell’andata in quanto scendere nel canale sarebbe potuto rivelarsi pericoloso per le valanghe.
Non avevo più la sensibilità alle dita delle mani tanto erano fredde poi, col diminuire della quota e l’aumentare della temperatura, ho iniziato ad avvertire un bruciore allucinante alle punte a pian piano si sono scaldate.
Il tempo era rimasto sereno per tutto l’arco della giornata ed i colori del  panorama variavano a seconda dei diversi momenti di luce che l’amico sole ci offriva.


Effettuavamo spesso delle pause per immortalare i momenti di luce migliori.


Molto spesso.


Troppo spesso.


Siamo scesi molto lentamente in maniera tale da goderci la montagna fino all’ultimo bagliore.


Fin quando non ci si vedeva più.
E’ stata l’ultima uscita dell’anno dei camosci e non poteva concludersi in maniera migliore.
Chiedo scusa se vi ho annoiato con questo racconto più lungo del solito ma il Monte Amaro mi esalta.

 


 

1 Commenti
Articolo del 23 Feb 2006 by Alfredo
by Attilio @ 27 Feb 2006 11:37 pm
Alfredo, volevo farti osservare che la busta non era di plastica ma di un composto ideato da me adatto all'alimentazione umana arricchito con vitamine e sali minerali.
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